4 luglio 2016, testo: Margrith Mermet
La richiesta dell’Helvetia ci ha fatto molto piacere. Durante il periodo dell’esposizione, l’installazione ci permette di arricchire le stampe della raccolta con aspetti importanti del nostro lavoro, creando opere installative spaziali e interattive.
La capanna di «A Hotspot Shack» è un oggetto spaziale che per quanto riguarda forma, dimensioni e collocazione è stato concepito per lo spazio dell’Helvetia Art Foyer. Volevamo costruire uno spazio accessibile all’interno del locale, che giocasse con la propria dimensione interna/esterna. Ma ciò non vale solo per lo Shack: mentre l’esterno stampato porta le creazioni digitali nel mondo analogico, per la proiezione interattiva «Passage Park» all’interno trasferiamo oggetti della realtà ricostruendoli con programmi 3D.
La struttura della capanna consente di esporla più volte – ci farebbe molto piacere se si presentasse l’opportunità giusta. Naturalmente, è molto probabile che in un altro spazio l’installazione richieda un allestimento del tutto diverso.
All’inizio di un’immagine ci sono sempre colloqui e schizzi sulle caratteristiche dell’oggetto. A vicenda descriviamo che cosa vogliamo realizzare e in che modo, nonché i vari dettagli. Nel caso della capanna ci siamo accordati sul fatto che non doveva essere un’unità omogenea. Non deve essere chiaro se è stata costruita con elementi da costruzione usati o se ha un passato di migliorie motivate da questioni economiche. Quando abbiamo trovato, grazie al dialogo, l’immagine adatta, realizziamo le idee in forma digitale, quasi senza modelli. Le fotografie ci servono come elementi di ricordo durante l’ideazione e per alcuni oggetti come modello per le strutture.
Senza dubbio molte delle fotografie che si vedono nella proiezione sono state scattate durante i nostri viaggi, ma il viaggiare qui va inteso in senso metaforico come «essere in viaggio». In viaggio ci sono temi che ci interessano già da molto tempo e che seguiamo fotograficamente. Nel caso di «Passage Park» si è trattato di sentieri, cavalcavia e sottopassaggi, capanne ai bordi delle strade, cantieri e arredi urbani. Da questo corpus selezioniamo delle fotografie adatte, che insieme agli oggetti 3D danno vita a spazi immaginari nuovi e sorprendenti.
Ci spostiamo spesso per esposizioni, installazioni e conferenze. Oppure lavoriamo per alcuni mesi in una città interessante grazie al finanziamento di qualche atelier. Allo stesso tempo, lavorare nell’atelier di Basilea è molto importante per noi. Ci dà tranquillità e ci consente di portare avanti i nostri progetti con concentrazione. Inoltre, per la realizzazione possiamo collaborare con persone che conosciamo già da tempo e che stimiamo molto.
Vi abbiamo lavorato diversi mesi, in parte in maniera intensiva. La maggior parte del lavoro è stato dedicato alla capanna, che è stata creata da zero. Non avevamo mai realizzato una costruzione leggera come questa. Il software per l’installazione interattiva è uno sviluppo delle precedenti installazioni e richiede migliorie e interventi costanti.
Esatto. Dal punto di vista tecnico, sono paragonabili ai fotogrammi della proiezione. Poiché cambiano costantemente in maniera casuale, ogni stampa mostra uno scenario che statisticamente è quasi impossibile che si ripresenti.
Dal 1991, Monica Studer e Christoph van den Berg sviluppano insieme lavori creati al computer. È il dialogo tra i due artisti basilesi a costituire il principio essenziale di tutti i loro lavori. I due artisti sentono di essere un’unità: le loro opere d’arte vengono sviluppate e realizzate in stretta collaborazione. Di chi sia stata l’ispirazione o l’idea non ha alcuna importanza e rimane un loro segreto. Tra le opere più conosciute vi è il progetto Internet Hotel Vue des Alpes.